L’ansia da prestazione mi ha presa.
Primo giorno di settembre, una domenica che aveva in sé tutta la pesantezza di un lunedì.
Seduta alla mia scrivania, stavo pianificando le attività che avrei affrontato da lì alle settimane successive e pensavo che, finite le vacanze, era finalmente tempo di ripartire.
Ma ripartire da cosa?
Mi sono bloccata, quasi avessi ricevuto un pugno dritto e forte sulla mia testa, che mi ha costretta a fermarmi e a mettermi di fronte a quella scomoda confusione.
Avevo sul serio qualcosa da cui ripartire?
Ho passato agosto in una placida attesa ma senza quasi mai fermarmi, rallentando con il lavoro ma non con la formazione né con gli impegni del mio quotidiano, tutti elementi che nella mia vita da freelance si sovrappongono gli uni agli altri senza soluzione di continuità.
Non capivo, dunque, da dove originasse tutta quella impellenza di ricominciare, di pianificare, di riempire agende cartacee ed elettroniche con impegni su impegni.
Per un attimo mi sono sentita catapultata alla mia vita di studentessa, quando il mio settembre era scandito dalla ripartenza a scuola prima, e dagli esami universitari poi.
Mi sono ricordata di tutte quelle volte alla fine delle vacanze estive, quando mi sembrava di poter ripartire da zero e di avere una seconda occasione per realizzare in corner tutto quello che non ero riuscita negli otto mesi precedenti, costellati di buoni propositi e tentativi falliti.
E allora ci andavo giù di determinazione, compilavo infinite to do list con tutti gli obiettivi che avrei raggiunto e che mi avrebbero finalmente reso fiera di me stessa… Salvo poi accorgermi, dopo poche settimane, che gli stessi obiettivi che a inizio settembre mi avevano dato la carica erano finiti nel dimenticatoio, abbandonati a se stessi e obliati da me, da Dio e dal resto degli uomini.
Solo qualche anno più avanti mi accorsi dell’immenso errore di fondo che stavo commettendo.
Ero all’università, persa tra tomi e appunti sul funzionamento del cervello umano e i suoi complessi meccanismi di trasmissione.
D’improvviso l’illuminazione: quella fantastica scarica di dopamina, che ci accompagna ogni volta che ci prefissiamo un nuovo obiettivo, non può starsene lì, serafica ed entusiasta, a durare per un tempo indefinito.
Dopo un po’, fisiologicamente è costretta a scemare e qualsiasi superpotere (leggasi forza di volontà) non sarebbe mai stato sufficiente a farla risalire e a tenerla su in maniera costante.
Addio entusiasmo associati ai nuovi inizi! Per centrare le mie mete, stavo facendo affidamento su una motivazione ormonale effimera. In pratica mi ero confezionata da sola un fallimento bello pronto già in partenza.
Certo, se l’avessi saputo prima avrei evitato di frustrarmi inutilmente, di sentirmi incapace al solo accorgermi che non riuscivo ad essere costante, e che il mio entusiasmo nel perseguire quelli che credevo fossero obiettivi da realizzare non era poi sufficiente.
Finivo, dunque, per arrabbiarmi con me stessa e col mondo, e per rimandare tutto di qualche mese, al gennaio che avrebbe segnato l’inizio di un nuovo anno solare e una svolta nella mia vita, aumentando di nuovo la carica e l’entusiasmo verso una seconda chance che sarebbe arrivata.
Solo che poi non andava mai così, perché da gennaio mi ritrovavo a procrastinare di nuovo ad un altro settembre, e da lì ancora al successivo gennaio, in un loop infinito di promesse infrante e aspettative mal riposte.
C’è chi si cruccia per l’avanzare dell’età; io invece ne sono felice perché mi ha dato e tuttora mi dà la possibilità di smascherare le scuse dietro le quali mi celavo, toglie strati di superfluo dalla mia personalità e fa venir fuori, man mano, solo ciò che per me è davvero importante.
E lo stesso accade adesso, in cui si tratta di valutare, per l’appunto, i nuovi inizi.
E settembre non fa eccezione.
Questo mi riporta alla domanda di cui sopra: c’è sul serio qualcosa da cui dover ripartire?
Siamo abituati a sentire e vivere le vacanze estive come un modo per staccare la spina (email del capo che arrivano il 14 agosto permettendo) e riprendersi dalla frenesia del quotidiano, ma spesso il tempo che abbiamo a disposizione non è sufficiente per ricaricarsi del tutto e mettersi in ascolto di se stessi.
A settembre il mondo sembra tornare a correre, e noi con lui, immersi in un’infinita quanto inutile ansia da prestazione, che ci porta a dover da subito fare-fare-fare, senza chiedere poi molto altro a noi stessi.
E se invece di considerare settembre come un periodo in cui ripartire, iniziassimo a vivercelo come un periodo come un altro, utile come qualsiasi altro per capire cosa vogliamo davvero? Monitorare quello che è stato nei mesi precedenti e da lì comprendere se si è sulla giusta rotta, se abbiamo fatto deviazioni impreviste e quindi dobbiamo correggere il tiro, e come voler continuare quel pezzo di strada dell’anno che resta e che si dipana davanti ai nostri occhi e ai nostri piedi?
In fondo, cosa importa ripartire il primo settembre o il 12? E se non riparti con la determinazione che pensavi di dover avere, cosa cambia davvero nella tua vita?
Settembre non necessariamente deve essere “una nuova speranza” (cito liberamente il titolo di un film della saga di “Star Wars”, giusto per assecondare il mio spirito un po’ nerd che finora se n’era stato buono in attesa del suo turno). Settembre non è l’ultima spiaggia per sentire di aver combinato qualcosa durante l’anno.
È solo un mese. Uno dei tanti che ci dà l’occasione di costruire la nostra vita in maniera allineata a quelli che sono i nostri bisogni e i nostri veri obiettivi.
“Wake me up when September ends” cantava Billie Joe Armstrong dei Green Day.
(A proposito, hai l'occasione di risentirla qui, se ti senti un po' nostalgico degli anni 2000)
E oggi ancora di più questa frase mi fa avvertire la necessità, il dovere e il diritto di rallentare, di avere la possibilità di riflettere su ciò che è stato e su quello che si vorrebbe che sia, senza l'ossessione di fare ma con la tranquillità di essere.
E se anche questo settembre non sarà un mese di grandi cambiamenti o di propositi perseguiti, va bene così: la nostra vita non si misura a partire da una data sul calendario, ma da ciò che scegliamo di vivere giorno dopo giorno.
Quanto ti capisco. É tutta questione di abitudini, anziché stravolgere le agende il primo gennaio o il primo settembre é utile ricordare che basta l’1% in più ogni giorno per ottenere grandi risultati con il passare del tempo 😉
La tua newsletter è uno dei piccoli grandi miracoli di Substack: mettere in connessione anime in sintonia, unite dalla medesima passione, necessità vitale di scrivere. Grazie, perché il tuo settembre è molto vicino al mio settembre ❤️