
Essere come il fiume che scorre
silenzioso nella notte,
senza temere le tenebre.
Se ci sono stelle nel cielo, rifletterle.
E se i cieli si riempiono di nubi,
così come il fiume, le nubi sono d’acqua;
riflettere anch’esse, senza timore,
nelle tranquille profondità.
- Paulo Coelho -
Questa settimana sono stata molto indecisa se far uscire questa newsletter.
Non rileggo quasi mai quello che scrivo dopo averlo pubblicato.
Tuttavia la sensazione che mi rimane, subito dopo aver lanciato un nuovo post nell’etere, è sempre la stessa da un po’ di tempo a questa parte: quella di parole che vanno in circolo, un po’ a caso, e che in qualche modo rimangono uguali a se stesse.
Parole di una persona che sì, sta lottando tanto perché sta affrontando tanto, ma comunque ci gira in tondo.
Non so se per mancanza di reale ispirazione o perché, semplicemente, quando vivi un periodo complesso, la tua mente cancella tutto il contorno. Ti lascia vedere solo quello che ti pesa, restituendoti parole della medesima forma.
Così, dato che quello che vivo è quello che scrivo, inevitabilmente anche le mie parole sono andate a senso unico.
Ora, non voglio scadere nella monotonia di fare qualcosa solo perché penso di doverlo fare, per qualche strana e confusa motivazione.
Quindi, se un mercoledì non vedrai arrivare niente nella tua casella di posta, saprai già com’è andata a finire: non avevo niente di importante da dire.
Avrò lasciato andare.
Come in questa settimana.
Negli ultimi giorni ho scritto senza pretese, senza aspettative. Mi interessava solo vedere dove andavo a parare.
E in parallelo ho vissuto alla stessa maniera, fluttuando sul mare ora calmo, ora più agitato, delle mie giornate.
Per una volta, non sono andata controcorrente, non ho lottato per arrivare chissà dove.
Ho tirato i remi in barca. E ho osservato in che direzione mi spostavo.
Nel mezzo del flusso ho incontrato due volte, e in contesti completamente diversi, un concetto di cui non ricordavo l’esistenza: quello dell’Amor fati, l’amore per il proprio destino.
Come se l'universo volesse assicurarsi che prestassi attenzione.
Allora non ho potuto lasciarlo lì, a galleggiare indifferente fra le acque. Ho dovuto approfondirlo.
Ho scoperto che fa capo alla filosofia stoica, ripreso poi da Nietzsche, che a tal proposito scriveva:
“Occorre comprendere i lati finora negati dell'esistenza non solo come necessari bensì come desiderabili...per se stessi come i lati più fecondi, più potenti, più veri dell'esistenza, in cui la volontà di essi si esprime più chiaramente (…)
La mia formula per la grandezza dell'uomo è amor fati: non volere nulla di diverso, né dietro né davanti a sé, per tutta l'eternità”.
Ecco, questa cosa dell’Amor fati io l’ho osservata, un po’ guardinga, notando come si incastrasse col mio stato d’animo del momento: il lasciar andare, il non fare resistenza alla vita.
Accettare quello che arriva, come l’unica condizione possibile che in quell’istante si può sperimentare.
Non voler nulla di diverso da ciò che è…
Un ossimoro per me, che della resistenza ho fatto un baluardo della mia identità.
Che ho sempre lottato, nonostante l’istinto mi suggerisse la presenza di un freno invalicabile, quasi uno stridere costante col mondo.
Nell’eterno ritorno all’uguale, nella ciclicità della nostra storia e di quello che ci capita, mi ritrovo ora a fare i conti con una verità scomodissima: non serve combattere per cambiare ciò che non ci fa star bene, se prima non si accetta quella condizione come necessaria per capire dove instradarsi.
Come una nave in mare aperto, che non si esaurisce nel suo sforzo di sfidare i flutti né accetta passivamente le avverse condizioni meteo. Bensì impara a leggere i venti e a orientare la sua rotta.
Mi ritrovo a dover mettere a fuoco me stessa in una nuova veste, nella necessità di passare stoicamente attraverso certe fiamme per poterne uscire diversa.
Senza quell’inquietudine costante, perenne tensione verso un qualcosa di altro, ma nella stabile e lucida accettazione di ciò che è e di ciò che sono, con i miei limiti, i miei inevitabili bisogni e la mia inutile ribellione.
Le parole creano mondi (Words create worlds)
Uno dei primi concetti che mi è stato trasmesso al corso di coaching, e che spesso dimentico nella sua potenza.
Ho ripensato al mio scrivere, alle parole che uso per raccontare me stessa e il mio mondo.
Parole che non sono altro che una proiezione, lo specchio della mia mente, talvolta caotica, spesso interrogativa, raramente in pace.
Parole che in questo mio momento di vita sanno proprio di resistenza, occasionalmente di speranza, ma quasi mai di vera accettazione.
Mi sono accorta che forse si rende necessario un restauro, una rimodulazione dentro per mostrarle diverse anche all’esterno.
Vedere che effetto fa lasciarle andar fuori dalla mia testa in maniera libera, meno gravosa.
Capire se si attaccano a qualcun altro, che probabilmente le sente anche un po’ sue.
Amare il proprio destino vuol dire accoglierlo irrimediabilmente per quello che è, variando il tono di ciò che ci si racconta.
Non sentirsi vittime di un fato crudele, quanto attori su un palco senza copione, con la facoltà di decidere come agire e cosa dire nella battuta successiva, sapendo che quello calcato è l’unico palcoscenico possibile.
Le parole passano, così, dall’essere armi per combattere la realtà, a diventare strumenti per accoglierla e trasformarla dall'interno.
C’è una bellissima newsletter di Silvia Grasso di cui cito questa frase:
“Riacquistare il diritto alle parole giuste, quelle che vogliamo usare non per emulazione ma per tracciare le nostre esistenze.
Il desiderio di tenere vivo il brusio di parole che abbiamo nella testa e spegnere il vociare caotico che ci circonda.”
Ecco, per me riconciliare la tensione, onorare sia il desiderio di trasformazione che l'accettazione di ciò che è, può avvenire solo attraverso le parole che scelgo.
Cambiare le parole della mia storia, significa cambiare la storia stessa.
Come quando provi a chiamare un "fallimento" una "lezione”.
O al passare dal “Sono bloccata in questa situazione" al “Sto attraversando un’esperienza complessa”.
Non è un puro gioco semantico, è un atto di ridefinizione della tua realtà.
Restituire alla tua storia, attraverso le parole, una forma, una voce, un colore che siano meno dipendenti dagli eventi esterni, dalla buona o dalla cattiva sorte, e più funzionali a chi sei, a dove sei e a dove vuoi arrivare.
Un nuovo vocabolario condiviso
Ho iniziato a immaginare come sarebbe creare un nuovo vocabolario personale basato sull'accettazione attiva piuttosto che sulla lotta. Parole che non negano la realtà ma la accolgono per trasformarla dall'interno.
Parole che ci permettano di riappropriarci profondamente della storia che viviamo.
Ho provato a metterlo in pratica nella realtà, ma non è stato sempre facile.
Ridefinire se stessi e la propria percezione del mondo richiede uno sforzo creativo ed assertivo, che spesso si traduce nel colmare i vuoti di comunicazione di chi questi sforzi non li vuole compiere.
Mi sono resa conto di come questo riappropriarsi delle parole e di noi stessi ci renda spesso soli.
Perché più scegli le tue parole, più diventi consapevole di te e approfondisci il tuo dialogo interno, e le parole che usi verso te e gli altri, più si riduce il numero di persone attorno che seguono il tuo stesso percorso.
Diventi la prima a scalare la montagna.
Mi è stato detto qualche giorno fa.
Ho risposto che non volevo essere la prima.
All’improvviso il senso di solitudine e l’inutilità di questa battaglia mi hanno attanagliato.
Poi mi sono ricordata del mio proposito. E ci ho provato ancora. Ho riformulato.
“Posso essere la prima. Ma non voglio essere la sola”.

Forse è questo il motivo per cui scrivo (e proverò comunque a scrivere) ogni settimana, anche quando è difficile, anche quando temo di ripetermi: per creare uno spazio di condivisione dove le nostre parole possono incontrarsi, formando ponti di comprensione e risonanza.
Il viaggio di accettazione e trasformazione personale non è mai una scalata solitaria, anche quando sembra di essere i primi a percorrere certi sentieri.
È una cordata invisibile dove il mio lasciar andare risuona con il tuo, dove ci si sorregge a vicenda, offrendo appigli agli altri con le proprie cadute e risalite.
Così, l'impresa solitaria diventa un'avventura collettiva. E in questo c’è qualcosa di profondamente rassicurante.
L’invito con cui ti lascio questa settimana è il seguente: imparare ad amare il tuo destino senza perdere la spinta a plasmarlo, trovare le tue parole giuste in un intricato equilibrio tra accettazione e cambiamento, tra lasciar andare e trattenere saldo ciò che conta.
Con la certezza che proprio in questo delicato equilibrio risieda la tua forma più autentica di libertà: quella che non nasce dalla resistenza, ma dalla consapevole danza con la vita stessa.
Questo posto qui su Substack è il mio piccolo spazio nell’etere, dove lascio andare i pensieri, per farli arrivare a chi li sente uguali o simili ai miei.
Nella vita reale sono una coach freelance e una formatrice.
Bevo litri di caffè.
Mangio cioccolata.
Sogno forte. Pure di giorno. Soprattutto di giorno.
Qui è dove provo a raccontare di me in chiave social, ma a modo mio. Senza consigli, e con gentilezza, che di gente che urla ce n’è già troppa.
Qui è dove provo a rendere più umana, con i miei pensieri, una piattaforma che a dire il vero mi piace poco poco.
Qui, infine, è “casa mia”, quella che ho costruito da sola, pezzo dopo pezzo, con la mia storia. E dove trovi anche quello che potrei costruire insieme a te.
Le mie uniche notifiche sul telefono, sono quelle di Substack. 7:03, sto scattando una foto a 2000 mt di altezza. Sono in discesa dopo aver visto l’alba. Mentre scatto, mi arriva la notifica. Decido di sedermi, leggendo tra il primo canto degli uccellini! Ho pianto. Hai parlato alle parti più profonde di me.
Mi sento solo da molto tempo. Poi alzo la testa, guardo la bellezza regalatami, e vedo un uccellino scendere in picchiata.
Non siamo mai soli.
Grazie per questa condivisione meravigliosa
.
alla fine finiamo per essere la storia che ci raccontiamo, per cui trovare le parole giuste, rimetterle in riga, e magari riformularle non può che fare del bene. in tutti i sensi.
ma ammettere che ci sono forze più grandi a cui dobbiamo affidarci è difficile quanto sacrosanto. il mio polso sinistro mi ricorda ogni giorno IT IS WHAT IT IS, inciso con la mia calligrafia sulla pelle. imparare ad accettare le cose è il primo passo per cambiarle.